Sulle pareti della galleria Giuseppe Caccavale ‘traduce’ in figure le parole che il grande poeta russo Osip Mandel’stam ha dedicato a Dante nella sua nota Conversazione; a queste unisce i versi delle poesie “Ottave” sempre di Mandel’stam e, tra parole e figure disegnate, fa risuonare insieme anche le immagini di alcune fotografie scattate in Armenia e che da sempre sono parte integrante della sua opera.
Ha dipinto di blu ceruleo le pareti della galleria portando all’interno l’aria e dilatando lo spazio come se si aprisse una volta celeste o piuttosto, come scrive l’artista stesso, un “palato celeste”. Sopra vi ha disegnato con il pastello grasso grandi figure ispirate dall’opera dei monaci benedettini e artisti Rabano Mauro e Opicino de Canistris e con il pastello secco, come un cartiglio apposto sopra, ha disegnato le parole tratte dalla “Conversazione su Dante” dandogli corpo e figura.
Un progetto in cui l’artista fa tornare i conti di un lungo lavoro di studio e visioni che da anni porta avanti anche attraverso il suo compito di docente alla Ècole Nationale Superieure des Arts Décoratifs di Parigi.
Nell’ampio spazio della Galleria, ogni elemento, ogni immagine, parola, rima, figura, associazione è connessa nel grande affresco ora composto sui muri. Si tratta di una costellazione di “carmi figurati” dove “tutto” risuona e si connette tra un tempo e l’altro della storia, tra le vite di due poeti che hanno condiviso l’esilio nella propria patria. Un tema oggi attuale e vivo, e la sua riproposizione da parte di un artista come Caccavale, che da tanti anni ha trovato accoglienza in Francia, apre ancora un significato ulteriore e forte: a volte si tratta di un esilio dal proprio tempo, di una sensibilità che costringe a essere randagi per continuare a vivere.
Da qualche anno questo artista ha scelto di confrontarsi con la parola dei poeti perché ha intuito che la parola poetica è complessa e la sua verità non sta nell’immediatezza, ma nella vita attraverso il tempo. Anzi modifica il tempo perché è in grado di unire il passato e il futuro. Oggi le parole sono leggere, sempre più virtuali: non hanno peso e spariscono anche soltanto sfiorando un tasto o toccando uno schermo. Sono moltiplicabili, riproducibili, copiabili e modificabili. Giuseppe Caccavale decide invece di inciderle e disegnarle sui muri. Le ingigantisce in grandi disegni con la grafite; gli dà casa e le fa riemergere dentro un nuovo linguaggio.
Sui muri, dunque, solo parole e figure si rivelano al nostro sguardo. “Nessuna lezione stilistica, nessun modo di vedere. Libri a cielo aperto per guardare ad alta voce, per mettere voce agli occhi.” Questo il progetto che Giuseppe Caccavale ha pensato appositamente per la Galleria Doppelgaenger di Bari trasformandola “in una scuola senza banchi, una scuola dove si sta in piedi e si fanno scalare gli occhi sulle pareti della meraviglia, la meraviglia di essere al servizio di un compito per gli altri. Noi diamo disegno alle parole per incontrare di nuovo Dante. Non in Inferno, non in Purgatorio, non in Paradiso… a casa.”
Dal dialogo nel catalogo tra Chiara Bertola, curatrice della mostra e Giuseppe Caccavale: “Per te una lettera, una parola è un oggetto. Sei arrivato a una sintesi incredibile e a me sembra di avere davanti la stessa magnifica ossessione che aveva Cezanne quando guardava e dipingeva laSainte Victoire con la stessa dedizione con la quale Morandi dipingeva le sue bottiglie. Che cosa sono per te le parole di Mandel’stam? Mi sembra infatti che le poesie di Mandel’stam siano la tua Saint Victoire e le tue bottiglie…” “Mi piace pensare che mi metto di fronte a una poesia come il geologo Paul Cezanne si metteva di fronte alla sua montagna Sainte Victoire in Provenza, allo stesso modo sembra di disegnare e scavare lettere nei muri come Giorgio Morandi dipingeva i suoi oggetti. Ho incontrato la poesia del poeta russo Osip Mandel’stam leggendo il poeta di lingua tedesca vissuto a Parigi, Paul Celan. Erano gli inizi degli anni novanta, ero a Gand nelle Fiandre per studi intorno al Canto e ai Primitivi Fiamminghi.”
a cura di Chiara Bertola