Roger Caillois chiude L’Écriture des pierres con una breve cosmogonia dal titolo « Entrée de la vie. L’autre écriture ». Qui il Mondo, e in particolare la vita, sembrano trarre origine non tanto nel modello biogenetico, secondo cui la vita nascerebbe unicamente da altra vita, né dal suo contrario, l’abiogenesi, ma dall’improbabile e seducente coesistenza di entrambi. È come, in effetti, se la vita iniziasse nella o dalla pietra ma, al tempo stesso, quest’ultima fosse di per sé in grado di custodire il mistero della vita prima ancora della sua venuta. « Vint la vie » esordisce, per l’appunto, il sociologo e poeta francese che delle pietre tracciò un singolare inventario: estetico, psichico e mistico a un tempo, e dove le forme complesse del mondo minerale si fanno inedita cartografia dell’immaginario umano.
Ma la vita sembra percorrere l’eterna metamorfosi pensata da Caillois secondo un movimento circolare: la sua origine è anche la sua fine, e così quell’«umidità sofisticata che rompe la perpetuità minerale» e «osa rinunciarvi per l’ambiguo privilegio di fremere, marcire, pullulare», si riacquieta con la morte e, nel susseguirsi di secoli e millenni, si dissolve e si fa fango, per poi indurirsi e ritornare pietra…sotto forma di fossile. Mi piace pensare che, ne avesse avuta la possibilità, Roger Caillois avrebbe trovato più di un’affinità tra i solenni volteggi del suo pensiero e l’arte, delicata e profonda, di Sarah Jérôme.
Tanto le carte oleate quanto le ceramiche di quest’ultima si danno evidentemente come materia – minerale se non già vegetale – che freme, marcisce, pullula, culminando nell’apparizione ora di una colonna vertebrale, ora di un lembo di carne, ora di una figura umana che tuttavia non è mai interamente formata: essa pare, anzi, destinata a essere eternamente indissociata da quell’informe che ne è, a un tempo, origine e fine. E la figura umana – femminile per prima – assume, nel ribollire di questo magma e nelle sue liquorose combustioni, una funzione mitopoietica: raramente essa si dà senza trascinare presso di sé l’antica e vitale presenza del mito, o dell’episodio letterario.
Il fossile è precisamente questo interregno dove il mormorio di mille vite è custodito nella fissità minerale, e da essa trasmesso. Interregno analogo, anch’esso al limite tra l’effimero e il permanente, è quello che noi chiamiamo arte.