È una questione di orecchio, si dice spesso, la musica. La musica o il suono. Perché forse “suono” è la parola che più si addice all’investigazione artistica di Pier Alfeo. Non di musica parliamo in questo caso, e forse non solo di suono, ma di arte sonora. Un’etichetta che rappresenta a pieno titolo l’artista presente in mostra. Un’etichetta che, come tutte le etichette, è generale, superficiale, lascia sempre fuori qualcosa ma delinea esattamente un campo di interesse: il suono si fa poesia, analisi del presente, materia per raggiungere concetti più complessi e sensibilità più profonde.
Fra sculture, installazioni, libri d’artista, il suono in Pier Alfeo diviene lo strumento di indagine della materia, o delle materie, del nostro presente e del nostro futuro.
Il lavoro di Pier Alfeo è indubbiamente tecnologico: il suono si espande attraverso composizioni attuate da algoritmi.
Alfeo non si abbandona al fascino perturbante della tecnologia, che ammalia quando ne vediamo il funzionamento, ma attiva un filo conduttore che accompagna il suo lavoro: il passaggio, o meglio l’unione tra due elementi solo in apparenza distanti, l’organico e il tecnologico. Il suono diviene veicolo per un’ulteriore relazione con elementi naturali, e per l’unione di due temporalità: quella della durata della performance e quella del tempo archeologico, un tempo interiore che riecheggia all’interno delle nostre corde emotive.
Nell’archeologia, per esempio, il tempo diviene storia, diviene il materiale primario di indagine di frammenti che provengono dal passato e dal profondo della terra. Terra che oggi rappresenta il nostro futuro, terra da ritrovare, terra che parla nella sua interezza al di là della visione antropocentrica e che potrebbe addirittura rappresentarne il suo superamento. Questo è il concetto alla base delle opere di Alfeo, dove si evince lo sfruttamento delle leggi fisiche fra la simmetria della struttura sonora spazializzata e la sua incisione nella casualità organica del legno, per esempio. Ritorno all’organico, allo sfruttamento di forze fisiche primarie, alla scoperta di un rapporto nuovo con la natura: il fondamento dell’esistenza nella sua configurazione fisica e biologica.
Ciò che esiste al di là della ragione, ciò che determina i nostri istinti e l’incontrollabilità degli elementi fisici. In un epoca di sviluppo tecnologico, di un’umanità che si interroga se il nostro futuro sarà dominato da macchine e cyborg, da protesi tecnologiche, l’artista accenna alla possibilità di ritrovare ciò che spesso dimentichiamo o che abbiamo escluso: essere, ancora e sempre, terra, mondo e universo.